La Cassazione, in una sentenza già annotata della fine di novembre 2022, avente ad oggetto l’impugnativa promossa dall’unico candidato ad una procedura di mobilità, poi, dichiarato inidoneo a seguito di colloquio idoneativo, rammenta che “in ogni caso, l’eventuale accoglimento del ricorso di **** non avrebbe mai potuto comportare l’assegnazione…al medesimo **** della posizione dirigenziale in esame”. E ciò sul rilievo che “un simile provvedimento avrebbe potuto essere adottato solo in presenza della fissazione nell’avviso pubblico di selezione di criteri assolutamente rigidi e vincolanti sufficienti a fare maturare da subito in capo all’interessato il diritto al conseguimento dell’incarico, situazione che non sussiste nel caso de quo”. Sicché, in questo caso (come in quello di procedure selettive o di progressione in carriera), la presenza di un avviso al pubblico, che “lasci alla P.A. un margine di discrezionalità nella definizione della procedura” determina che “una illegittimità per violazione di legge o dei principi di correttezza o buona fede dello stesso avviso” consente di ottenere la sola ripetizione della procedura e/o l’eventuale risarcimento del danno sofferto. Insomma “le valutazioni arbitrarie, discriminatorie o irragionevoli sotto il profilo della conformità rispetto ai criteri di selezione possono determinare la condanna della P.A. a riparare per equivalente il pregiudizio sofferto dal lavoratore, a meno che non sia l’originario avviso pubblico di selezione ad adottare meccanismi vincolanti di attribuzione dei punteggi, escludendo ogni sorta di discrezionalità, con conseguente possibilità di conseguire una tutela in forma specifica”.