Ai sensi dell’art. 15 co. 2 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 “il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata, non può superare tre anni dall’inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata … per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell’opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all’inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari”.
La normativa prescrive dunque, a pena di decadenza del permesso a costruire, l’effettivo “inizio dei lavori” entro il termine di un anno dal rilascio del titolo abilitativo.
Orbene, ricorda il Tar Palermo con sentenza del giugno 2022, che i lavori debbono ritenersi “iniziati” quando l’attività posta in essere consista nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell’impianto del cantiere, nell’innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi coordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio, per evitare che il termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici (cfr., ex multis, Consiglio Stato, sez. V, 29 novembre 2004, n. 7748).
Specularmente, la mera esecuzione di lavori di sbancamento è, di per sé, inidonea a far ritenere soddisfatto il requisito, essendo necessario, al fine di escludere la configurabilità del reato di costruzione abusiva, che lo sbancamento sia accompagnato dalla compiuta organizzazione del cantiere e da altri indizi idonei a confermare l’effettivo intendimento del titolare del permesso di costruire di realizzare l’opera assentita.