La Suprema Corte, con sentenza dei primi di ottobre 2023, occupandosi del personale delle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (ARPA), riafferma uno dei principi cardine del rapporto di lavoro pubblico. Infatti si afferma a chiare lettere che “la legislazione regionale e la contrattazione integrativa concernenti le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente possono trovare applicazione nella misura in cui sono compatibili con la normativa statale e, per quel che qui rileva, con la contrattazione collettiva nazionale”. Ed in particolare la Suprema Corte statuisce nuovamente come “nessuna retribuzione può essere corrisposta al personale ARPA che non trovi il suo fondamento in tale contrattazione collettiva nazionale” pena la nullità e la eventuale conseguente ripetibilità di eventuali trattamenti economici difformi. E’ stato, quindi, ritenuto che neppure l’esistenza di eventuali prassi, non rispondenti alla legislazione ed alla contrattazione collettiva nazionale vigenti, possa essere invocata per fondare la corresponsione di eventuali compensi, sul presupposto di una tutela dell’affidamento dei dipendenti. Infatti, prosegue la Suprema Corte “siffatto affidamento, ove pure esistente, non può costituire di per sé titolo per l’attribuzione di somme a carico della P.A., dovendosi rispettare i criteri di quantificazione delle stesse. Per l’esattezza, gli unici criteri di quantificazione dei compensi dovuti ai dipendenti sono quelli indicati dalla contrattazione collettiva nazionale (o da quella integrativa che la rispetti), con l’effetto che, quando, come nella specie, siffatti compensi sono calcolati sulla base di precedenti provvedimenti della P.A. interessata non rispettosi della contrattazione appena citata, la relativa determinazione è illegittima”.