Nel rapporto di lavoro pubblico non sono possibili trattamenti migliorativi ad personam ovvero non previsti dalla contrattazione collettiva nazionale o decentrata

Ancora di recente è stato ribadito dalla Corte di Cassazione che, nel pubblico impiego le amministrazioni sono tenute, ai sensi del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 45, comma 2, a garantire ai propri dipendenti trattamenti corrispondenti a quelli previsti dalla contrattazione collettiva; sicchè deve escludersi in radice il potere del datore di lavoro pubblico di introdurre deroghe, anche a favore dei dipendenti, all’assetto definito in sede di contrattazione collettiva, costituendo questo uno dei principi cardine della contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico, espresso in numerose disposizioni del suo statuto. Insomma il trattamento economico, fondamentale ed accessorio dei dipendenti pubblici, risulta regolato in modo inderogabile (anche in melius) dalla contrattazione collettiva tanto che l’eventuale corresponsione ad un lavoratore di “un determinato trattamento economico, non è sufficiente di per sè, a costituire un diritto soggettivo in capo al lavoratore medesimo” ed incorre nel vizio di nullità per contrarietà a norme imperative con conseguente soggezione al rischio della loro possibile restituzione ex art. 2033 c.c.

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