Nell’esercizio del potere di autotutela l’Amministrazione è vincolata agli adempimenti procedurali che avevano caratterizzato il procedimento concluso con l’atto oggetto del riesame. In particolare, nel caso in cui si proceda in autotutela, è la stessa Autorità amministrativa che ha emanato il primo atto che dovrà procedere, ciò in ossequio al principio del cd. contrarius actus.
In passato, costante giurisprudenza aveva ritenuto che l’applicazione di tale principio trovasse una deroga nei casi in cui il provvedimento fosse viziato da incompetenza, sia originaria che sopravvenuta. Partendo da questo assunto, con sentenza n. 11307/2023 il Consiglio di Stato smentisce la tradizionale impostazione e afferma che, invece, il provvedimento di secondo grado può essere adottato anche dall’Amministrazione incompetente. Il Supremo Consesso raggiunge tale conclusione evidenziando che l’art. 21-nonies L. 241/1990 circoscrive l’esercizio del potere di autotutela da parte di chi non abbia adottato l’actus primus ai soli casi legislativamente previsti; per di più la legge non fa alcuna distinzione sulle tipologie di vizi che possono affliggere il primo provvedimento e che possono riguardare l’autotutela da parte “d[e]ll’organo che lo ha emanato”, rientrandovi dunque anche l’incompetenza. Dunque, la pronuncia evidenzia la sussistenza di un legame molto stretto tra provvedimento illegittimo ai sensi dell’art. 21-octies e provvedimento di secondo grado che è finalizzato al suo annullamento. Tale aspetto non è altro che una espressione della discrezionalità fondante il potere di autotutela dell’Amministrazione, che in questo modo è salvaguardata nella sua pienezza ed esclusività.