Con sentenza della prima metà del mese di marzo 2024 la Suprema Corte conferma la linea di estremo rigore sulle conseguenze della violazione della disciplina di cui all’art. 53 D. Lgs. n. 165 del 2001 in tema di violazione dell’obbligo di esclusività da parte dei dipendenti pubblici ovvero di assunzione di incarichi o del percepimento di compensi extra ufficio non previamente autorizzati da parte della propria amministrazione. Viene ribadito, difatti, che “in tutti i casi di conferimento di incarichi retribuiti ai dipendenti pubblici, la P.A. è tenuta a verificare necessariamente ex ante le situazioni, anche solo potenziali,di conflitto di interessi, al fine di assicurare il più efficace rispetto dell’obbligo di esclusività, funzionale al buon andamento, all’imparzialità e alla trasparenza dell’azione amministrativa. Ne consegue che il privato conferente l’incarico e il dipendente pubblico, anche se in part – time, hanno entrambi, comunque, l’obbligo di comunicare al datore il conferimento dell’incarico, onde consentire all’ente di concedere la relativa autorizzazione, previa valutazione dell’assenza di una possibile situazione di conflitto di interessi del medesimo incarico con l’attività lavorativa”. E viene altresì escluso che la successiva azione di ripetizione dell’indebito (o di incameramento delle somme) abbia natura sanzionatori. Tale azione rientra, difatti, “nell’alveo della responsabilità contrattuale da inadempimento agli obblighi di fedeltà e ha una funzione riparatoria ed integralmente compensativa del danno; ne consegue che il recupero, pur assumendo tratti sanzionatori, atteso che regola gli effetti della duplice violazione dell’avere accettato un incarico senza autorizzazione e di averne introitato le remunerazioni, non costituisce sanzione amministrativa e non è,pertanto, assoggettato alle regole di cui alla legge n. 689 del 1981 (Cass., Sez. L, n. 24377 del 5 agosto 2022).Ne deriva che, venendo in rilievo un’attività svolta dal dipendente pubblico nonostante il suo obbligo di fornire la sua prestazione lavorativa esclusivamente nei confronti dell’ente datore di lavoro, quest’ultimo ha il diritto di riscuotere quanto percepito dal lavoratore, rappresentando, alla fine, tale importo la misura del valore delle energie lavorative che il menzionato dipendente, indebitamente, non ha utilizzato per adempiere agli obblighi su di lui gravanti in forza del contratto di lavoro”.