L’art. 97 della Costituzione ci esorta ad organizzare i pubblici uffici assicurando il “buon andamento e l’ imparzialità dell’amministrazione”. Due principi di rilievo costituzionale che ogni pubblico funzionario impara a conoscere tra i primi fondamentali dogmi dell’agire nell’ambito della pubblica amministrazione.
Tuttavia, se è di facile e intuitiva comprensione il significato della “imparzialità”, più arduo si è rivelato per ognuno di noi definire, descrivere, dare un contenuto al principio del “buon andamento”.
La stessa Corte Costituzionale di, volta in volta che è stata chiamata a giudicare una legge per contrasto con l’art. 97, ha ricercato le manifestazioni concrete del principio riconducendo nell’alveo del “buon andamento” i comportamenti ispirati all’efficienza, alla razionale organizzazione degli uffici e al loro corretto funzionamento, alla garanzia di regolarità e continuità dell’azione amministrativa , al contenimento dei costi dei servizi pubblici.
Ognuna di queste espressioni di una corretta cura della cosa pubblica necessita tuttavia, per poter efficacemente esplicarsi nel contesto di riferimento, di utilizzare quello che, a mio giudizio, rappresenta “il principio dei principi” : la ragionevolezza.
E’ sempre la Corte Costituzionale che inizia a svolgere il sindacato sulla ragionevolezza delle leggi, elaborandolo come canone costante ed onnipresente nella giurisprudenza costituzionale, in quanto necessario per contemperare il bilanciamento della pluralità di diritti e interessi costituzionalmente rilevanti che vengono in gioco in una determinata vicenda.
Ma il principio di ragionevolezza è diventato, e deve costituire, uno dei paradigmi fondamentali anche dell’esercizio delle funzioni amministrative, una “forma mentis” che dobbiamo porre a supporto e in appoggio di scelte e decisioni caratterizzate da vari gradi di discrezionalità.
Se il sistema giuridico è astrattamente razionale e coerente, tale razionalità non garantisce tuttavia di riuscire a soddisfare i principi di legittimità e buon andamento nella applicazione ai singoli casi concreti. La ragionevolezza interviene proprio per impedire le distorsioni o i paradossi che si possono verificare dall’incontro della norma con la realtà, per “piegare” il mezzo che ci fornisce l’ordinamento per il raggiungimento di un determinato fine pubblico alle variegate modalità con cui si presento i fatti da gestire, ad adattare la regola giuridica alla situazione pratica.
«”Ragionevole” designa colui che sottomette la propria ragione all’esperienza» ( J. Guitton, Arte nuova di pensare, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1986, p. 71) : una definizione che esprime efficacemente ciò che sarebbe necessario e sufficiente per superare atteggiamenti di puro formalismo burocratico, in cui la razionalità giuridica viene potenziata da un giudizio più approfondito e coerente con gli eventi da affrontare.