Negativa la risposta del TAR Marche- Ancona che, con sentenza del 16 gennaio 2024, afferma che “con riguardo al primo profilo, il Collegio ritiene di dover aderire al principio di diritto ribadito, da ultimo, nella sentenza del Consiglio di Stato n. 4597/2023, in cui il giudice amministrativo di ultima istanza ha avuto modo di statuire che “…La presentazione di denunce, querele o altre analoghe iniziative da parte del dipendente (ovvero, da parte del datore di lavoro nei confronti del dipendente), nei confronti dei soggetti incaricati del procedimento disciplinare (ovvero della parte nei confronti del giudice investito per legge della controversia), non sostanzia ex se una situazione di grave inimicizia o di incompatibilità personale, financo nell’ipotesi in cui il capo dell’ufficio giudiziario sia chiamato a giudicare l’imputato dipendente per fatti commessi nella medesima sede giudiziaria. In tutti questi casi, onde evitare di lasciare l’amministrazione (e gli interessi pubblici ad essa affidati), in balia di iniziative unilaterali, dilatorie e strumentali, non si ravvisa l’interesse privato e personale del titolare dell’organo, che è indispensabile affinché si configuri il presupposto dell’obbligo di astensione”…” (al riguardo vengono richiamate le precedenti sentenze dello stesso Consiglio di Stato, n. 3133/2012, n. 5741/2007 e n. 1958/2012). La sentenza prosegue evidenziando che “…Del resto, le cause di incompatibilità di cui all’art. 51 c.p.c., estensibili a tutti i campi dell’azione amministrativa quale applicazione dell’obbligo costituzionale d’imparzialità, rivestono un carattere tassativo all’evidente scopo di tutelare l’esigenza di certezza dell’azione amministrativa (Cons. Stato, sez. III, 2 aprile 2014, n. 1577, che ha affermato che l’asserita (o attuata) presentazione di denuncia in sede penale da parte del ricusante nei confronti del giudice (o, per analogia, del commissario di concorso) non costituisce causa di legittima ricusazione perché essa non è di per sé idonea a creare una situazione di causa pendente [per la natura oggettiva della giurisdizione penale] o di grave inimicizia)…”. Insomma conclude il Giudice amministrativo, nella specie, non v’è alcuna incompatibilità atteso che “ai sensi dell’art. 124 c.p., la querela va presentata dalla parte offesa entro tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato, per cui a fortiori si deve riconoscere alla stessa parte offesa la possibilità di tutelarsi in sede penale senza essere, nel contempo, costretta ad astenersi da compiti e funzioni connesse con la carica pubblica ricoperta”.