La Corte di Appello di Roma, con sentenza del gennaio 2022, ribadisce un principio ormai consolidato nell’ordinamento del lavoro pubblico. Infatti, a fronte della pretesa di un dirigente di un ente locale di vedersi remunerare l’attività svolta quale componente di un comitato tecnico, il Giudice di Appello ha rigettato il ricorso, statuendo che “Nella specie, incontrovertibilmente il compenso di cui il dirigente rivendica la spettanza remunera un incarico attribuito dalla amministrazione di appartenenza. Il fatto che, in base agli accordi tra i soggetti interessati, le spese fossero a carico di un terzo non attribuisce all’incarico natura libero professionale e, come tale, remunerabile con un compenso aggiuntivo rispetto al trattamento retributivo dirigenziale. Il secondo periodo del terzo comma dell’art. 24 cit., peraltro, non dispone che i compensi dovuti dai terzi debbano essere corrisposti al dirigente il quale ha espletato l’incarico a fronte del quale il terzo è tenuto al pagamento; prevede, invece, che tali compensi siano corrisposti direttamente alla amministrazione per confluire nelle risorse destinate al trattamento economico accessorio della dirigenza, ossia all’incremento dei fondi da utilizzare per il trattamento accessorio del personale dirigenziale, non già di questo o di quel dirigente”. E neppure “ricorrono gli estremi per la configurabilità dell’azione di ingiustificato arricchimento, ex art. 2041 c.c., poiché la prestazione lavorativa e il correlativo vantaggio dell’amministrazione trovano giusta causa nell’incarico affidato, remunerato con il trattamento economico ordinario, mentre eventuali differenze retributive rivendicabili potrebbero, tutt’al più, riguardare il diverso ambito del compenso per lavoro straordinario, qualora l’attività lavorativa fosse stata resa al di fuori dell’orario di lavoro”.