Incompatibilità assoluta nel pubblico impiego: conseguenze (commento a Consiglio di Stato, sez. II, 23 gennaio 2024 n. 746)

La sentenza in oggetto decide una controversia in materia di incompatibilità nel pubblico impiego. Oggetto della lite era una supposta situazione di incompatibilità assoluta in capo ad un agente di polizia penitenziaria.
La disciplina delle attività assolutamente incompatibili con l’impiego alle dipendenze di una pubblica amministrazione è dettata dagli articoli 60-65 del testo unico sugli impiegati civili dello Stato, approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, che trovano applicazione sia per il personale in regime di diritto pubblico, sia per quello contrattualizzato, in forza del richiamo contenuto nell’art.53, comma 1 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
In base alle suddette norme ai dipendenti pubblici è vietato l’esercizio di attività industriale, commerciale, artigianale, professionale, l’assunzione di cariche in società aventi fini di lucro, nonché la titolarità di rapporto di lavoro subordinato con soggetti privati o con altra amministrazione. Con riferimento a tali attività il legislatore ha previsto una sorta di anticipazione della tutela, simile a quella operata in materia penale per i cosiddetti “reati di pericolo”, non lasciando all’amministrazione di appartenenza margini discrezionali nella valutazione in concreto di situazioni di conflitto e nella verifica dell’incidenza sull’attività istituzionale, ed escludendone, a priori, la possibilità di esercizio.
L’inosservanza del divieto di cui all’art.60 del D.P.R. n. 3/57 comporta, sul piano procedurale, in base all’art.63 del D.P.R. medesimo, una previa diffida datoriale volta a far cessare l’incompatibilità e, quindi, in caso di inottemperanza alla diffida entro il breve termine di quindici giorni, la decadenza dall’impiego.
La diffida, determinando l’obbligo di far cessare entro un breve termine una supposta situazione di incompatibilità, pena la decadenza dall’impiego, presuppone il serio e scrupoloso accertamento da parte dell’amministrazione della sussistenza della situazione suddetta mediante un’adeguata e solida istruttoria1.
Come è stato evidenziato in giurisprudenza, la rimozione della situazione di incompatibilità non può limitarsi solo alla semplice manifestazione di volontà da parte del dipendente di cessare dalla suddetta situazione, la quale deve essere accompagnata da atti concreti, come, nel caso di svolgimento di attività imprenditoriale, la richiesta di cancellazione dal registro esercenti il commercio e dall’elenco dei titolari di partita IVA2, oppure le dimissioni dalla carica sociale ricoperta3.
In caso di inottemperanza alla diffida a cessare dall’attività incompatibile entro il termine di quindici giorni segue la dichiarazione di decadenza dall’impiego, che, secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione4 e del Consiglio di Stato5, non ha natura sanzionatoria o disciplinare, in quanto non è la conseguenza di un inadempimento, bensì scaturisce dalla perdita di quei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità, che, se fossero mancati ab origine, avrebbero precluso la costituzione del rapporto di lavoro con l’amministrazione. A ciò consegue il carattere automatico della decadenza nel caso di inottemperanza alla diffida: da siffatto automatismo espulsivo deriva, secondo la richiamata giurisprudenza, la non necessità di un previo contraddittorio con l’interessato.
L’assenza di contraddittorio si presta a critiche, in quanto il confronto col dipendente potrebbe contribuire a chiarire i termini della questione in fatto (es. avvenuta ottemperanza alla diffida) e in diritto (es. saltuarietà dell’attività, periodo di tempo circoscritto di espletamento dell’attività, estraneità all’esercizio dell’attività), nell’interesse non solo del dipendente medesimo, ma anche dell’amministrazione, che eviterebbe errori destinati ad essere contestati in sede giudiziale6. In ogni caso, poiché sul piano procedimentale la diffida assume valenza equipollente alla comunicazione di avvio del procedimento di decadenza (art.7 della l. 7 agosto 1990, n. 241)7, il dipendente potrebbe egualmente presentare all’amministrazione memorie o osservazioni, o chiedere di essere sentito, ai sensi dell’art.10 della l. n. 241/90.
Qualora, invece, il dipendente ottemperi alla diffida8, cessando dalla situazione di incompatibilità, non scatta l’automatismo espulsivo predetto, ma restano comunque fermi i riflessi disciplinari della (temporanea) inosservanza del divieto, come si desume dalla chiara previsione dell’art.63 del D.P.R. n. 3/57, secondo cui “la circostanza che l’impiegato abbia obbedito alla diffida non preclude l’eventuale azione disciplinare”.
La sentenza affronta un interessante questione riguardante la durata degli effetti della diffida, in quanto nel caso in esame il provvedimento di decadenza è intervenuto a un anno di distanza circa dalla diffida. Il Consiglio di Stato, tenendo conto del dettato dell’art.63, comma 3 del D.P.R. n. 3/57 (“decorsi quindici giorni dalla diffida, senza che la incompatibilità sia cessata, l’impiegato decade dallo impiego”), ha correttamente evidenziato la durata limitata degli effetti della diffida.

a cura di Luca Busico, Coordinatore Direzione del Personale presso l’Università di Pisa


1 Cfr.: Cons. St., sez. I, 22 ottobre 2003, n. 3744, in www.giustizia-amministartiva.it; CGARS, 13 luglio 2005, n. 362, ivi.
2 Cfr. TAR Lazio-Roma, sez. I, 5 novembre 2012, n. 9027, ivi.
3 Cfr.: TAR Campania-Napoli, sez. II, 22 gennaio 2002, n. 389, in Foro amm., 2002,202; Cons. St., sez. III, 27 novembre 2014, n. 5865, in www.giustizia-amministartiva.it; TAR Sicilia-Palermo, sez. I, 23 ottobre 2015, n. 2655, ivi; Cons. St., sez. III, 25 luglio 2019, n. 5254, ivi.
4 Cfr.: Cass., sez. lav., 19 gennaio 2006, n. 967, in Foro it., 2006,I,2346 con nota di PERRINO; Cass., sez. lav., 21 agosto 2009, n. 18608, in Riv. crit. dir. lav., 2010,413 con nota di SIOTTO; Cass., sez. lav., 12 ottobre 2012, n. 17437, in Il lav. nelle P.A., 2012,903; Cass., sez. lav., 15 gennaio 2015, n. 617, in Lexitalia, n. 1/2015; Cass., sez. lav., 6 agosto 2018, n. 20555, in www.italgiure.it; Cass., sez. lav., 25 luglio 2022, n. 23213, ivi; Cass., sez. lav., 14 giugno 2024, n. 16636, ivi. Nella giurisprudenza di merito cfr.: Trib. Frosinone, 12 dicembre 2013, in Riv. it. dir. lav., 2014,II,881 con nota di AVALLONE; Trib. Venezia, 2 dicembre 2014, in Lav. giur., 2015,609 con nota di DELLACASA; Trib. Napoli, 12 settembre 2016, in Lav. prev. oggi, 2017,75 con nota di MOSTARDA.
5 Cfr.: Cons. St., sez. V, 20 ottobre 2004, n. 6841, in Foro amm. CDS, 2004,2887; Cons. St., sez. III, 4 dicembre 2013, n. 6225, ivi, 2013,3373.
6 Cfr. TENORE, Le attività extraistituzionali e le incompatibilità per il pubblico dipendente, in Il lav. nelle P.A., 2007,1104.
7 Sulla equipollenza tra la diffida ex art. 63 del D.P.R. n. 3/57 e la comunicazione di avvio di procedimento ai sensi dell’art. 7 della l. n. 241/90 cfr.: Cons. St., sez. III, 11 marzo 2003, n. 523, in Cons. St., 2003,I,2433; Cons. St., sez. I, 16 dicembre 2010, n. 5514, in www.giustizia-amministrativa.it; Trib. Taranto, 15 gennaio 2018, in www.ilgiuslavorista.it; TAR Lombardia-Brescia, sez. I, 24 giugno 2022, n. 637, in www.giustizia-amministrativa.it.
8 Sulle modalità di ottemperanza alla diffida nel caso di esercizio di attività commerciale cfr.: TAR Lazio-Roma, sez. I, 5 novembre 2012, n. 9027, ivi; Cons. St., sez. II, 22 aprile 2022, n. 3060, ivi.

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