Il professore universitario a tempo pieno, che svolge un secondo lavoro (autonomo) e che insegna presso un altro ateneo estero, merita la destituzione dal servizio?

Il Giudice amministrativo di Bologna, con sentenza della prima metà di giugno 2023, affronta un tema di non poco interesse anche al di fuori della materia dei docenti universitari e dei dipendenti in regime di diritto pubblico. Si afferma e si ribadisce,in primo luogo, che la violazione della disciplina di cui all’art. 6, comma 11, della legge n. 240 del 2010, in punto di condizioni che consentono lo svolgimento di altro attività’ didattica e di ricerca anche presso un altro ateneo, costituisce una grave infrazione delle regole di servizio ad attenuare la quale neppure varrebbe invocare “la presumibile conoscenza da parte dell’Università di -OMISSIS- dell’attività continuativa svolta in …, tale conoscenza non implica evidentemente la liceità disciplinare della condotta non autorizzata tenuta dal docente, non derivando dal mancato esercizio del potere sanzionatorio alcun legittimo affidamento (ex multis Consiglio di Stato Adunanza Plenaria 17 ottobre 2017, n. 9)”. E conclude il Giudice amministrativo, oltretutto, nel caso oggetto di esame, il pieno fondamento del provvedimento di destituzione discende anche dalla contestuale (non autorizzata) attività libero professionale svolta in maniera affatto saltuaria ed in ogni caso al di fuori di qualsiasi previa autorizzazione. Ai sensi infatti dell’art. 6 comma 9 della legge 240/2010 “L’esercizio di attivita’ libero-professionale e’ incompatibile con il regime di tempo pieno. Resta fermo quanto disposto dagli articoli 13, 14 e 15 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, fatto salvo quanto stabilito dalle convenzioni adottate ai sensi del comma 13 del presente articolo.” Ai sensi del successivo comma 10 ”I professori e i ricercatori a tempo pieno, fatto salvo il rispetto dei loro obblighi istituzionali, possono svolgere liberamente, anche con retribuzione, attivita’ di valutazione e di referaggio, lezioni e seminari di carattere occasionale, attivita’ di collaborazione scientifica e di consulenza, attivita’ di comunicazione e divulgazione scientifica e culturale, nonche’ attivita’ pubblicistiche ed editoriali. I professori e i ricercatori a tempo pieno possono altresi’ svolgere, previa autorizzazione del rettore, funzioni didattiche e di ricerca, nonche’ compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purche’ non si determinino situazioni di conflitto di interesse con l’universita’ di appartenenza, a condizione comunque che l’attivita’ non rappresenti detrimento delle attivita’ didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall’universita’ di appartenenza”. Tale norma che elenca le attività che i professori e i ricercatori universitari a tempo pieno possono svolgere liberamente anche dietro compenso, nonché le attività che possono essere svolte previa autorizzazione dell’Università di appartenenza, ha per oggetto attività di carattere occasionale riguardante la redazione di pareri, il supporto o l’assistenza qualificata su tematiche specifiche e determinate, anche di carattere clinico, e non può, pertanto, trovare applicazione con riferimento all’attività libero professionale intramuraria allargata di tipo continuativo ed a carattere precipuamente terapeutico (ex multis Cassazione penale sez. VI, 16 marzo 2017, n. 29782). Anche la giurisprudenza del g.a. afferma l’incompatibilità del ruolo di professore a tempo pieno con lo svolgimento di attività professionale continuativa (ex multis Consiglio di Stato sez. VII 2 maggio 2023, n. 4380; T.A.R. Emilia-Romagna Parma, 11 luglio 2018, n. 185).

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