Ci troviamo ancora a parlare di whistleblowing per entrare più nello specifico della sua disciplina, prendendo occasione da una recente sentenza della Corte di Cassazione sul tema, di cui si dirà a breve.
Si è già ricordato di cosa si tratta: un istituto giuridico, da un lato volto a favorire l’emersione di illeciti sul posto di lavoro, dall’altro, in stretta connessione logica, finalizzato a tutelare chi segnala quegli illeciti.
La disciplina del whistleblowing ha avuto un’evoluzione nel tempo, passando dalla originaria versione dell’articolo 54 bis del d.lgs. 165/2001, introdotto dalla legge 190/2012 (la legge “anticorruzione”), all’integrazione allo stesso articolo, apportata dal d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito nella legge 11 agosto 2014, n. 114, che ha previsto anche l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) quale soggetto destinatario delle segnalazioni, sino all’ultima versione della norma citata, riscritta dalla legge 30 novembre 2017 n. 179.
Si è giunti, oggi, al d.lgs. 10 marzo 2023, n. 24, che, in attuazione della direttiva (UE) 2019/1937, ha abrogato la previgente disciplina sostituendola interamente.
Parimenti si sono succedute nel tempo linee guida di ANAC in materia: dalla determinazione n. 6 del 28 aprile 2015, alla delibera n. 469 del 9 giugno 2021, fino alla attuale delibera n. 311 del 12 luglio 2023, con cui, nel disciplinare la gestione delle segnalazioni di propria competenza secondo la disciplina contenuta nel d.lgs. 24/2023, ANAC ha fornito indicazioni utili anche alle amministrazioni tenute alla gestione dei canali interni.
Sono ancora attese le nuove linee guida dell’Autorità, poste in consultazione alla fine del 2024, che daranno ulteriori indicazioni sulle modalità di gestione delle segnalazioni interne alle amministrazioni.
In tale susseguirsi di norme, un filo conduttore comune (uno dei tanti), a seguito di interpretazione di ANAC e della giurisprudenza, fino ad espressa previsione nell’attuale disciplina normativa, è rappresentato dall’esclusione della tutela del segnalante nel caso in cui questi agisca per scopi esclusivamente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori.
Tale tutela, infatti, è legata, sin dall’origine dell’istituto, alla tutela dell’integrità dell’amministrazione, in coerenza con le finalità anticorruttive della legge 190/2012: perché si attivino le misure di protezione del segnalante, occorre che la segnalazione abbia ad oggetto fatti che ledono tale integrità; il resto non rileva.
E, quindi, il d.lgs. 24/2023, oggi, all’articolo 1, prevede che non sono coperte da tutela “contestazioni, rivendicazioni o richieste legate ad un interesse di carattere personale della persona segnalante o della persona che ha sporto una denuncia all’autorità giudiziaria o contabile che attengono esclusivamente ai propri rapporti individuali di lavoro o di impiego pubblico, ovvero inerenti ai propri rapporti di lavoro o di impiego pubblico con le figure gerarchicamente sovraordinate”.
La giurisprudenza ha confermato le condizioni per la tutela del segnalante, già con riferimento alla disciplina ante riforma del 2017, e lo ha ribadito di recente con la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, del 27 gennaio 2025, n. 1880. “Il dipendente virtuoso non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto a misure discriminatorie, dirette o indirette, aventi effetti sulle condizioni di lavoro, per motivi collegati alla segnalazione effettuata, che deve avere ad oggetto una condotta illecita, non necessariamente penalmente rilevante” e, quindi, “L’istituto del cd. whistleblowing non è utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori. Questo tipo di conflitti infatti sono disciplinati da altre normative e da altre procedure.”. La Corte, nella detta sentenza, cita propria giurisprudenza (sent. n. 17715 del 2014) e giurisprudenza amministrativa conformi.
Coerentemente ANAC, nelle proprie linee guida, ormai superate, adottate con delibera n. 469/2021, attenendosi ai principi contenuti nella direttiva (UE) 2019/1937, in attesa del recepimento della stessa normativa europea nell’ordinamento italiano, escludeva la tutela del segnalante nei casi di segnalazione per interessi personali, chiarendo che “lamentele di carattere personale come contestazioni, rivendicazioni o richieste che attengono alla disciplina del rapporto di lavoro o ai rapporti con superiori gerarchici o colleghi non possono generalmente essere considerate segnalazioni di whistleblowing, a meno che esse non siano collegate o collegabili alla violazione di regole procedimentali interne all’amministrazione che siano sintomo di un malfunzionamento della stessa.
Resta fermo, infatti, che, alla luce della ratio che ispira la legislazione in materia di prevenzione della corruzione, non si possano escludere dalla tutela ex art. 54-bis le segnalazioni nelle quali un interesse personale concorra con quello della salvaguardia dell’integrità della pubblica amministrazione. In simili casi è opportuno che il whistleblower dichiari fin da subito il proprio interesse personale.
Posta la sussistenza dell’interesse generale all’integrità della pubblica amministrazione alla base della segnalazione, gli ulteriori motivi, anche personali, che hanno indotto il whistleblower a effettuare la segnalazione, sono da considerarsi irrilevanti al fine di decidere sul riconoscimento delle tutele previste dall’art. 54-bis. Tale riconoscimento, infatti, è connesso alla valutazione oggettiva dei fatti segnalati che sveli l’interesse pubblico sotteso alla segnalazione, a prescindere dai concorrenti ed eventuali interessi personali del whistleblower.”
Ed è proprio il considerando n. 32 della direttiva europea del 2019 che prevede: “I motivi che hanno indotto le persone segnalanti a effettuare la segnalazione dovrebbero essere irrilevanti al fine di decidere sulla concessione della protezione.”
In sostanza, per l’applicazione dell’istituto di tutela occorre che la segnalazione, pur originata da motivi di carattere personale, attenga a fatti che ledono l’integrità dell’amministrazione, all’opposto, segnalazioni basate solo su controversie personali sul luogo di lavoro non legittimano le tutele suddette.
Le linee guida ANAC 311/2023, alla luce della nuova normativa che esplicita espressamente ciò che non è coperto da tutela, esemplifica alcuni casi di esclusione: “Sono quindi, escluse, ad esempio, le segnalazioni riguardanti vertenze di lavoro e fasi precontenziose, discriminazioni tra colleghi, conflitti interpersonali tra la persona segnalante e un altro lavoratore o con i superiori gerarchici, segnalazioni relative a trattamenti di dati effettuati nel contesto del rapporto individuale di lavoro in assenza di lesioni dell’interesse pubblico o dell’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato;”.
Appurato che i dissapori in ufficio, di per sé, non possono legittimare una segnalazione coperta da tutela, è essenziale, per chi riceve le segnalazioni, comprendere quali siano gli illeciti contemplati dalla normativa sul whistleblowing: sul punto il legislatore non è stato sempre così chiaro e costante.
Nella disciplina originale dell’istituto si prevedeva genericamente la tutela di chi segnala condotte illecite, lasciandone l’individuazione ad ANAC e ai giudici, poi, con la riforma dell’articolo 54 bis del d.lgs. 165/2001, nel 2017, si era esplicitato che le condotte illecite dovessero essere qualificate come tali in relazione all’“interesse dell’integrità della pubblica amministrazione” e, nel titolo della stessa legge di modifica n.179, si trovava il riferimento, non solo ai reati, ma anche alle irregolarità.
Il d.lgs. 24/2023, infine, ha disciplinato, all’articolo 1, “la protezione delle persone che segnalano violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’Unione europea che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato”, fornendo un amplissimo elenco di tali violazioni.
In parallelo alle disposizioni di legge, nel 2015, ANAC comprendeva tra gli illeciti, non solo i delitti contro la pubblica amministrazione, ma anche tutti quei casi di “mal funzionamento dell’amministrazione a causa dell’uso a fini privati delle funzioni attribuite, ivi compreso l’inquinamento dell’azione amministrativa ab externo.”
Nelle linee guida del 2021, l’Autorità confermava tale interpretazione, ritenendo che rientrassero nella disciplina “sia illeciti penali che civili e amministrativi, sia irregolarità nella gestione o organizzazione dell’attività di un ente nella misura in cui tali irregolarità costituiscono un indizio sintomatico di irregolarità dell’amministrazione a causa del non corretto esercizio delle funzioni pubbliche attribuite.”
Non ci si limitava, quindi, a includere nella disciplina di tutela i soli illeciti, ma anche tutti quei fatti – irregolarità – di “mala amministrazione”, compresi nell’ampio concetto di corruzione fatto proprio dalla strategia preventiva della legge 190/2012. Ciò, del resto, risultava coerente con la stessa legge 179/2017, recante “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarita’ di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato.”.
Nel silenzio della legge, però, spettava all’amministrazione valutare caso per caso se il fatto segnalato costituisse un illecito o una irregolarità che minasse l’interesse pubblico.
Con le ultime linee guida, sulla base dell’attuale disciplina normativa, che finalmente esplicita cosa è compreso e cosa è escluso dalla tutela whistleblowing, ANAC evidenzia che le irregolarità (“le situazioni in cui, nel corso dell’attività amministrativa, si riscontrino comportamenti impropri di un funzionario pubblico che, anche al fine di curare un interesse proprio o di terzi, assuma o concorra all’adozione di una decisione che devia dalla cura imparziale dell’interesse pubblico”) non sono più incluse tra le violazioni segnalabili, ma possono costituire “elementi concreti” (indici sintomatici) – di cui all’art. 2, comma 1, lett. b) d.lgs. 24/2023, che definisce le informazioni sulle violazioni – tali da far ritenere al segnalante che potrebbe essere commessa una delle violazioni previste dal d.lgs. 24/2023.
Le informazioni sulle violazioni, infatti, “possono riguardare anche le violazioni non ancora commesse che il whistleblower, ragionevolmente, ritiene potrebbero esserlo sulla base di elementi concreti. Tali elementi possono essere anche irregolarità e anomalie (indici sintomatici) che il segnalante ritiene possano dar luogo ad una delle violazioni previste dal decreto.”
L’Autorità, inoltre, tenta di dare una lettura semplificata del complesso elenco di violazioni contemplate da quest’ultimo decreto, fornendo anche casi esemplificativi.
La auspicata tipizzazione, infatti, non agevola poi così tanto il lavoro di chi il diritto lo applica, stante la difficile tecnica di rinvio utilizzata per l’individuazione degli illeciti; punto fermo e fattore comune è che si tratti di violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’Unione europea, e – come si è detto – non di comportamenti semplicemente scorretti del funzionario pubblico, che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione.