Nel corso degli ultimi anni, in adesione alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (cfr. Corte giust. Ue 15 settembre 2011, C-155/10, Williams, par. 21 in Foro It. 2011, 4, pag. 429 e ss. e, più di recente, Corte giust. Ue, 13 dicembre 2018 C-385/17, Torsten Hein, par. 44 in Labor 2019, pag. 285 e ss.) si è andato consolidando un orientamento della Corte di cassazione che riconosce ai dipendenti, durante le ferie, il diritto a conservare lo stesso trattamento economico percepito nel corso dei mesi “lavorati”.
Il tutto sulla base di una ricostruzione della retribuzione feriale che si pone soprattutto su un piano sostanzialistico e che supera una certa qual vaghezza, su questo punto, mantenuta sia delle norme interne (a partire dall’art. 36, comma 3, della Costituzione ovvero dall’art. 2109, comma 2, cod. civ. per arrivare all’art. 10, comma 1, D. lgs. 8 aprile 2003 n. 66) sia delle stesse disposizioni comunitarie (cfr. art. 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ovvero l’art. 7 della direttiva n. 2003/88/CE).
Insomma, se l’assunto di fondo di tutta la disciplina sul diritto alle ferie è quello di assicurare il loro effettivo godimento anche in ragione della funzione che è propria e tipica di un simile istituto (di ristoro delle energie psicofisiche), la Corte di giustizia ha ripetutamente statuito che l’art. 7, n.1, della direttiva 2003/88/CE deve essere inteso nel senso di assicurare che lo stipendio deve essere mantenuto nella sua interezza, dovendo godere (il lavoratore) “nel corso del suo periodo di riposo e di distensione, di condizione economiche paragonabili a quelle relative all’esercizio del suo lavoro” (Corte giustizia Ue, 15 settembre 2011, C-155/10, cit. par. 23).
E ciò, per evitare, altrimenti una sorta di effetto dissuasivo alla loro fruizione che finirebbe così per incidere sull’effettività di quel diritto.
In questa prospettiva l’elemento di maggiore interesse di questa giurisprudenza si coglie poi nella circostanza che, dalla retribuzione feriale, sembrano destinate ad essere escluse solamente quelle voci stipendiale che hanno una natura assolutamente occasionale come il rimborso di eventuali spese che il lavoratore ha sostenuto nello svolgimento della sua attività lavorativa (Corte giust. Ue 15 settembre 2011, C-155/10, cit. parr. 24 e 25).
Persino il compenso per il lavoro straordinario, tutte le volte che finisce in concreto per divenire una componente stabile e significativa dello stipendio di quel lavoratore, deve essere mantenuto anche in occasione delle ferie (Corte Giustizia Ue 13 dicembre 2018, C-385/17, cit., par. 46-47).
Orbene sono intuibili le ricadute che questa giurisprudenza è destinata ad avere ed ha avuto sul piano interno e che sono non a caso emerse in non poche pronunzie delle Suprema Corte.
E’ stato, difatti, affermato che sussiste una vera e propria nozione europea di retribuzione dovuta al lavoratore durante le ferie annuali (almeno con riferimento al periodo minimo di ferie di quattro settimane riconosciuto dall’art. 7 della direttiva n. 2003/88/CE) che deve coincidere con la retribuzione ordinaria di quel lavoratore (Cass., Sez. Lav., 30.11.2021 n. 37589 in Giur. it. 2022, pag. 1179 e ss.) e che deve essere tale “da non indurre il lavoratore ad optare per una rinuncia alle ferie al fine di non essere pregiudicato dei suoi diritti” (Cass., Sez. Lav., 23.06.2022 n. 20126 in Lav. Prev. Ogg. 2023, pag. 284).
Alla luce di queste coordinate v’è, quindi, seriamente da chiedersi se l’attuale regolazione del trattamento stipendiale “feriale”, previsto dalla contrattazione collettiva dei diversi comparti ed aree pubblici, risulti realmente conforme ai principi enucleati dalla Corte di giustizia e, quindi, all’art. 7 della direttiva n. 2003/88/CE cui anche le pubbliche amministrazioni devono conformare la disciplina del rapporto di lavoro dei propri dipendenti.
Si intende dire che, non diversamente da quanto accaduto nel caso della contrattazione collettiva di diritto comune, che in non pochi casi è stata disapplicata dalla Suprema Corte proprio perché ritenuta difforme e dissonante dalla direttiva comunitaria non assicurando il mantenimento dello stesso trattamento economico durante le ferie (Cass., Sez. Lav., 21 maggio 2024 n. 14089), sarebbe davvero utile operare un’analoga verifica ed indagine sulla contrattazione che regola il trattamento dei dipendenti pubblici al fine di verificare se, specie nelle sue componenti accessorie (si pensi allo straordinario o ad eventuali indennità come quella di reperibilità o turno o di particolari responsabilità, solo a titolo esemplificativo), sia integralmente mantenuta o meno anche in occasione delle ferie.
Infatti, se così non fosse, anche il lavoratore pubblico avrebbe titolo a chiedere la disapplicazione di tale disciplina ed ad invocare la “giusta” retribuzione feriale così come definita dall’ordinamento comunitario.
E ciò proprio al fine di scongiurare, altrimenti, non solo un’eventuale ritrosia a fruire delle ferie (per non guadagnare di meno) ma, comunque, per evitare di trovarsi in una situazione in cui quel lavoratore “non può essere in grado di godere del tutto di tali ferie come periodo di distensione e di ricreazione” (Corte giust. Ue 29.11.2017, C-214/16, King, par. 38 in Riv. It. Dir Lav. 2018, 386 e ss.).
a cura di Avv. Mauro Montini