La Suprema Corte è tornata anche di recente ad occuparsi del tema del Mobbing e dello straining. Si afferma, difatti, in sentenza del 7 giugno 2024, che “secondo gli orientamenti maturati presso questa Corte, è configurabile il mobbing lavorativo ove ricorra l’elemento obiettivo, integrato da una pluralità continuata di comportamenti pregiudizievoli per la persona interni al rapporto di lavoro e quello soggettivo dell’intendimento persecutorio nei confronti della vittima (Cass. 21 maggio 2018, n. 12437; Cass. 10 novembre 2017, n. 26684), a prescindere dalla illegittimità intrinseca di ciascun comportamento, in quanto la concreta connotazione intenzionale colora in senso illecito anche condotte altrimenti astrattamente legittime, il tutto secondo un assetto giuridico pianamente inquadrabile nell’ambito civilistico, ove si consideri che la determinazione intenzionale di un danno alla persona del lavoratore da parte del datore di lavoro o di chi per lui è in re ipsa ragione di violazione dell’art. 2087 cod. civ. e quindi di responsabilità contrattuale, anche con i maggiori effetti di cui all’art. 1225 cod. civ. per il caso di dolo; è configurabile lo straining, quando vi siano comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manchi la pluralità delle azioni vessatorie (Cass. 10 luglio 2018, n. 18164)”. Orbene conclude la Corte di Cassazione che “In materia di tutela della salute nell’ambiente di lavoro, questa Corte ha inoltre chiarito che un “ambiente lavorativo stressogeno” è configurabile come fatto ingiusto, suscettibile di condurre anche al riesame di tutte le altre condotte datoriali allegate come vessatorie, ancorché apparentemente lecite o solo episodiche, in quanto la tutela del diritto fondamentale della persona del lavoratore trova fonte direttamente nella lettura, costituzionalmente orientata, dell’art. 2087 cod. civ. (vedi, tra le altre: Cass. 7 febbraio 2023 n. 3692 e nello stesso senso: Cass. nn. 33639/2022, 33428/2022, 31514/2022)”. Insomma, anche a concedere che le difficolta relazionali lamentate da un dipendente possano essere imputate anche al suo stesso modo di essere, resta che il Giudice del Lavoro non può limitarsi a tale allegazioni allorché venga comunque dedotta e prova la sussistenza di “un ambiente lavorativo stressogeno” che risulta di per sè configurabile come fatto ingiusto ed in quanto tale fonte, in capo dal datore di lavoro, di responsabilità per violazione dell’art. 2087 c.c.
2 Luglio 2024 | danno, dipendente, illecito, rapporto di lavoro