Ancora sul mobbing e sullo straining (in ambito sanitario)

Viene nuovamente in rilievo nel corso del 2024 una nuova pronunzia della Suprema Corte (questa volta del 12 luglio 2024) sul tema degli ambienti lavoratori stressogeni e delle correlate conseguenze risarcitorie. Invero si riafferma che “alla base della responsabilità per mobbing lavorativo si pone normalmente l’art. 2087 c.c., che obbliga il datore di lavoro ad adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica e la personalità morale del lavoratore, per garantirne la salute, la dignità e i diritti fondamentali, la cui tutela trova diretto riscontro nella Carta costituzionale agli artt. 2, 3 e 32 Cost. Riflesso di tale ricostruzione è l’affermazione per cui, se anche le diverse condotte denunciate dal lavoratore non si ricompongano in un unicum e non risultino, pertanto, complessivamente e cumulativamente idonee a destabilizzare l’equilibrio psico-fisico del lavoratore o a mortificare la sua dignità, ciò non esclude che tali condotte o alcune di esse, ancorché finalisticamente non accumunate, possano risultare, se esaminate separatamente e distintamente, lesive dei fondamentali diritti del lavoratore, costituzionalmente tutelati (Cass. Sez. L, Sentenza n. 18927 del 05/11/2012)…In piena continuità con tale orientamento, questa Corte ha chiarito che – costituendo l’art. 2087 c.c., norma di chiusura del sistema antinfortunistico e suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro – il datore è tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l’adozione di condizioni lavorative “stressogene” (cd. straining), e a tal fine il giudice del merito, pur se accerti l’insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare gli episodi in modo da potersi configurare una condotta di mobbing, è tenuto a valutare se, dagli elementi dedotti – per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto – possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell’esistenza di questo più tenue danno (Cass. Sez. L, Sentenza n. 3291 del 19/02/2016; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 3692 del 07/02/2023)”. Ed è interessante notare che, nella specie, la Suprema Corte chiarisce ancora che “l’eventuale qualificazione delle condotte lesive come mobbing o straining da parte del lavoratore che agisca per la tutela dei propri diritti non vale ad integrare alcuna limitazione dela  domanda medesima, la quale è – e resta – una domanda basata sulla violazione della regola generale di cui all’art. 2087 c.c. in tutte le sue possibili manifestazioni ed indipendentemente dalla qualificazione tecnica delle condotte… conseguentemente, la valutazione della domanda da parte dell’organo giudicante non può arrestarsi alla verifica della sussistenza della specifica (ma non autonoma) ipotesi del mobbing. Per contro, una volta verificata la sussistenza in tutto o in parte degli episodi rite ed recte allegati e provati dal lavoratore – su quest’ultimo gravando l’onere della prova dei fatti, della sussistenza del danno e del nesso causale tra l’ambiente di lavoro e il danno (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 5061 del 26/02/2024), ferma l’utilizzazione da parte del giudice sia dei poteri officiosi sia della prova per presunzioni e fermo il dovere del giudice di pronunciare nel merito della causa sulla base del materiale probatorio ritualmente acquisito con una valutazione, non limitata all’esame isolato dei singoli elementi, ma operata in via globale nel quadro di una indagine unitaria ed organica (Cass. Sez. L, Sentenza n. 18410 del 01/08/2013; Cass. Sez. L, Sentenza n. 6753 del 04/05/2012, per risalire a Cass. Sez. U, Sentenza n. 11353 del 17/06/2004) e valorizzando anche le eventuali “piste probatorie” – lo stesso organo giudicante deve ulteriormente procedere con la valutazione dei medesimi, in modo da verificare se essi, anche solo atomisticamente considerati, siano idonei ad integrare la lesione di quei valori costituzionalmente protetti che trovano specifico usbergo nell’art. 2087 c.c., potendo quindi escludere la sussistenza della violazione di tale previsione solo qualora nessuno dei fatti, valutati anche singolarmente, configuri una lesione della salute e della dignità del lavoratore”.

a cura dello Studio legale Avv. Mauro Montini 
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