Accesso alla dirigenza medica di secondo livello (ovvero di direttore di struttura complessa) e specializzazione “di fatto”

Il Tribunale di Pisa, con sentenza del 13 febbraio 2023, affronta un tema di non poco rilievo nell’ambito delle procedure selettive per il conferimento degli incarichi di direttore di struttura complessa. L’art. 5 lett. b) d.p.R. 484/97 («Regolamento recante la determinazione dei requisiti per l’accesso alla direzione sanitaria aziendale e dei requisiti e dei criteri per l’accesso al secondo livello dirigenziale per il personale del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale»), prevede, difatti, tra i requisiti necessari per poter essere ammessi alla selezione diretta all’accesso del secondo livello dirigenziale: «l’anzianità di servizio di sette anni, di cui cinque nella disciplina o disciplina equipollente, e la specializzazione nella disciplina o in una disciplina equipollente ovvero l’anzianità di servizio di dieci anni nella disciplina». L’art. 10 co. 3 del medesimo regolamento dispone ancora che: «Ai fini della valutazione dei servizi prestati e delle specializzazioni possedute dal candidato si fa riferimento alle rispettive tabelle stabilite con decreto del Ministro della Sanità».
Orbene era accaduto che uno dei candidati fosse stato escluso dalla procedura perché era stato inquadrato, al momento dell’assunzione in ruolo, in una disciplina (non equipollente a quella messa a concorso per direttore) seppure avesse svolto l’intera sua carriera professionale all’interno della medesima.
Il tema, che è tutt’altro che infrequente, è stato risolto dal Giudice del Lavoro di Pisa con un approccio, per così dire, sostanzialistico concludendo che “In sostanza, il dott.**** era un candidato dotato della specializzazione nella disciplina oggetto dell’avviso (Medicina Interna), e che poteva vantare un’esperienza documentata in mansioni corrispondenti alla disciplina medesima. Ecco allora che ancorarsi – come fa l *****– ad una valutazione solo formalistica, legata alla disciplina di inquadramento del ricorrente (gastroenterologia), appare contrario al principio di buona amministrazione, oltre che alla buona fede negoziale (cfr., per un caso analogo, Ancona Sez. I, sent. 760/16). D’altra parte, la normativa summenzionata non vieta di procedere ad una valutazione dell’attività professionale effettivamente svolta, ed anzi l’art. 10 co. 1 d.p.R. 484/97 fa riferimento anche al servizio non di ruolo prestato a titolo di incarico, di supplenza o in qualità di straordinario. Diversamente argomentando, si giungerebbe al paradosso di privilegiare, rispetto al ricorrente, la posizione del medico specializzato in Medicina Interna, ed inquadrato per cinque anni nella medesima disciplina, ma che di fatto non abbia mai lavorato in tale disciplina“.

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