Lavorare stanca, la pensione è meglio o no?

La Legge n. 207 del 30/12/2024, pubblicata sulla G.U. n. 305 del 31/12/2024, interviene, all’art. 1, commi 162-165, ad innovare e non poco il tema del trattenimento in servizio e del collocamento a riposo dei dipendenti pubblici.

Infatti, senza peraltro alcuna disciplina transitoria e non senza qualche possibile problematica applicativa specie rispetto ai collocamenti a riposo già adottati nel corso del 2024 ma non ancora eseguiti, si è stabilito che, a decorrere dal 1 gennaio 2025, il limite, per la permanenza in servizio del personale pubblico fissato a 65 anni di età, coincida con il raggiungimento della pensione di vecchiaia, ossia con il compimento del 67° anno di età.

Vengono correlativamente travolte, ai successivi commi 163 e 164, le disposizioni di legge (ovvero l’art.2, comma 5, D.L. n. 1 del 2013 e l’art. 72, comma 11, D.L. 25/06/2008 n. 112), che obbligavano, rispettivamente, (la prima) al raggiungimento del 65 anno di età ovvero consentivano (la seconda) alle pubbliche amministrazioni di collocare a riposo il proprio personale “più anziano” e che avesse maturato i requisiti per l’accesso al pensionamento.

Sicché, a partire dal 1 gennaio 2025, si assiste ad un’indubbia ed evidente mutamento di prospettiva rispetto alla legislazione previgente, non essendo più possibili forme di collocamento d’ufficio a riposo dei dipendenti pubblici prima del raggiungimento dei 67 anni di età. In buona sostanza, preso atto (sembra di dover concludere) non solo dell’invecchiamento della popolazione ma della stessa difficoltà di reclutamento di nuovo personale, si è ritenuto di dover rivedere quei meccanismi che intendevano favorire il cosiddetto ricambio generazionale.

Ed alla medesima ratio risponde anche la disciplina del successivo comma 165 della medesima disposizione che attribuisce alle pubbliche amministrazioni la facoltà, qualora ritenuto necessario “anche per lo svolgimento di attività di tutoraggio e di affiancamento ai neoassunti e per esigenze funzionali non diversamente assolvibili”, di trattenere in servizio il proprio personale sino al compimento del “settantesimo anno di età”, a condizione che sussista il (i) consenso dell’interessato e, comunque, nei limiti (ii) del dieci per cento delle facoltà assunzionali autorizzate a legislazione vigente” ed ad (iii) esclusione del personale delle magistrature e degli avvocati e procuratori dello Stato nonché del personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco che rimane soggetto alle regole proprie e specifiche.

Si vedano, peraltro, in merito alla nuova disciplina, anche le “indicazioni applicative” fornite dal Ministro per la pubblica amministrazione con nota del 21 gennaio 2025 che si preoccupa di regolare sopratutto le ipotesi in cui può trovare applicazione l’istituto del trattenimento in servizio sino al compimento del settantesimo anno di età. Si sottolinea, difatti, l’assenza di qualsiasi automatismo, essendo comunque tale trattenimento subordinato alla discrezionalità dei singoli enti da esplicare “nell’esercizio della propria discrezionalità amministrativa” tramite gli “atti di programmazione annuale e pluriennali (PIAO)” cui viene demandato il compito, per così dire, di certificare ed attestare le esigenze che la giustificano; con la precisazione ulteriore che la durata effettiva del trattenimento deve essere definita “caso per caso in termini congruenti all’esigenza che si intende affrontare attraverso tale istituto e comunque auspicabilmente in misura adeguata a preservare la continuità gestionale ed evitare frammentazioni (non inferiore ad esempio ad un anno” (così ancora le linee applicative).

Quanto, poi, al personale dirigenziale, è evidente che il trattenimento in servizio, sino al settantesimo anno di età, deve conciliarsi con la peculiarità del sistema degli incarichi dirigenziali che potranno anche avere una durata inferiore a quella minima triennale ove ciò coincida con il compimento del requisito anagrafico massimo.

A cura di Avv. Mauro Montini

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