Il diritto del dipendente pubblico al rimborso delle spese legali, un primo commento a cass., sez. un., 5 dicembre 2024 n. 31138

Con Ord.1178/24, la Sezione Lavoro della SC aveva rimesso alle SU la questione della rimborsabilità da parte della Amm.ne di appartenenza delle spese affrontate dal pubblico dipendente per la difesa in un procedimento innanzi alla Corte dei Conti conclusosi favorevolmente anche al di là dell’importo liquidato a suo favore nella decisione del giudice contabile; era stato rilevato infatti il contrasto fra una decisione più risalente (Cass.19195/13 Sez.IV), che riteneva la regolamentazione data dal giudice contabile esaustiva della problematica e come tale insuscettibile di integrazioni, e una più recente (Cass. 18046/22 Sez.II) che invece riconosceva il “doppio binario” , consentiva cioè all’interessato non soddisfatto da tale liquidazione di richiedere alla Amministrazione il rimborso della parte di spese non coperta dalla condanna (sempre salvo il giudizio di congruità da parte della Avvocatura dello Stato)
In un recente convegno (v.Riflessioni sul pubblico impiego-atti pubblicati nella sezione open della RIvista Labor ) chi scrive aveva auspicato che, indipendentemente dalla specifica questione, la decisione delle Sezioni Unite potesse apportare un definitivo chiarimento su una problematica più generale in tema di rimborso spese, sul problema cioè della rilevanza dell’eventuale “conflitto di interessi” fra Amministrazione e dipendente e sul conseguente problema della valutazione “ex ante” o “ex post” della sussistenza del conflitto.
In estrema sintesi, l’art.18 dl 67/97 (che rappresenta, riferendosi ai dipendenti statali, la norma di più ricorrente applicazione in tema di rimborso spese di difesa a favore del dipendente), subordina espressamente il rimborso al duplice requisito della attinenza del giudizio per responsabilità (civile, penale, amministrativa) alla attività istituzionale del dipendente e della conclusione del procedimento con una positiva affermazione della non sussistenza di responsabilità (dimodoché non dànno diritto al rimborso, ad esempio, decisioni del giudice penale di ndp per intervenuta prescrizione).
Fin dal primo momento, però, la giurisprudenza aveva evidenziato la necessaria ricorrenza di un ulteriore requisito e cioè la assenza di “conflitto di interessi” fra dipendente e Amministrazione di appartenenza.
Presumibilmente sulla base di tali indicazioni giurisprudenziali, ripetute nel tempo sia pur per vero dire in maniera spesso tralaticia, la contrattazione collettiva successivamente intervenuta per categorie di lavoratori non rientranti nell’ambito di applicazione della norma (ad esempio i dipendenti universitari) aveva espressamente indicato la assenza di conflitto di interessi fra i requisiti del rimborso.
Si era posta peraltro la ulteriore questione se della sussistenza del conflitto si dovesse giudicare secondo una valutazione ex ante (cioè tenendo conto del comportamento contestato, indipendentemente dall’esito favorevole all’impiegato del giudizio) ovvero ex post (cioè in sostanza sulla base di tale esito).
Ed era facile osservare come entrambe le soluzioni non fossero soddisfacenti: operare una valutazione ex ante comporta la conseguenza ad esempio che ogni volta che venga contestato un reato “proprio” del pubblico dipendente, cioè un comportamento descritto come contrario ai doveri di ufficio non potrà aversi rimborso delle spese, anche se all’esito del giudizio emerga che quel comportamento non sussiste o il dipendente non lo ha posto in essere.
Viceversa, optare per la valutazione ex post, in presenza del requisito certamente sussistente della positiva esclusione di responsabilità equivale a porre nel nulla il requisito del conflitto di interessi, con la conseguenza ad esempio che l’Amministrazione, costituitasi parte civile contro il proprio dipendente imputato e poi assolto si troverebbe (unica fra le parti civili) a dover rimborsare le spese all’imputato.
Sul presupposto che il giudizio di responsabilità innanzi alla Corte dei Conti evidenzi il sussistere di un conflitto fra incolpato e Amministrazione di appartenenza in quanto il Procuratore che esercita l’azione agisce in sostanza nell’interesse di tale specifica Amministrazione, si era ipotizzato che la soluzione data dalle Sezioni Unite al problema loro sottoposto avrebbe fornito una guida per la soluzione dei più generali problemi relativi al conflitto.
Si riteneva che la scelta della opzione più risalente (regolamentazione delle spese esclusivamente all’interno del giudizio innanzi alla Corte) riportando la problematica del rimborso delle spese all’ordinario principio processuale victus victori in expensis condemnatur avrebbe fornito argomento a favore della valutazione ex ante: l’Amministrazione rimborsa il dipendente soltanto in quanto, in sostanza, parte soccombente nel giudizio.
Viceversa la opzione per il “doppio binario” (fatta propria, sia detto per inciso, anche dal Cons. Stato e dalla Avvocatura Generale dello Stato in un parere di massima del Luglio 2022) avrebbe potuto rappresentare una definitiva affermazione del principio della valutazione ex post.
Le Sezioni Unite hanno confermato la validità del doppio binario, ma con argomentazioni che, soprattutto dal punto di vista teorico, non sono così esaustive come si auspicava.
La sentenza infatti semplicemente non affronta espressamente il problema del conflitto di interessi e della sua valutazione muovendo dal presupposto che il giudizio innanzi alla Corte dei Conti non rappresenta un effettivo conflitto fra dipendente e Amministrazione, che tendenzialmente non è parte del giudizio, così come il Procuratore che esercità l’azione non può essere considerato come un rappresentante processuale della stessa.
Il problema teorico della giustificazione, allora, della condanna alle spese (obbligatoria in caso di assoluzione dell’incolpato) di un soggetto che non è parte, nemmeno per interposta persona, del giudizio viene, più che superato, accantonato sul rilievo della esigenza pratica (motivata in primo luogo dalla necessità di porre per quanto possibile un rimedio al problema della “paura della firma” del pubblico funzionario) di assicurare comunque- indipendentemente dal mezzo processuale o extraprocessuale adottato- il rimborso integrale delle spese (nei limiti della congruità) affrontate dal dipendente.
In definitiva, quella delle SU appare come una scelta eminentemente “pratica” forse necessariamente adottata nella impossibilità di conciliare dal punto di vista dell’inquadramento teorico norme accavallatesi nel tempo nell’intento di dare risposta a specifici problemi di volta in volta presentatisi.
Si deve ammettere, allora, che non è a questo punto privo di pregio il fatto che la soluzione delle SU lasci inalterato, per quanto riguarda il “doppio binario” per il rimborso delle spese susseguenti a giudizio innanzi alla Corte dei Conti, un assetto sul quale dopo la sentenza n.189/20 della Corte Costituzionale, avevano finito per concordare sia la Cassazione che il Consiglio di Stato in sede giudiziaria sia l’ Avvocatura dello Stato in sede consultiva.
Tanto più che la più recente giurisprudenza, pur continuando a indicare la assenza di conflitto di interessi fra i presupposti del rimborso, la riconduce in sostanza alla esistenza di uno stretto e diretto nesso fra comportamento oggetto di giudizio e fini dell’Ente, tale che gli effetti del comportamento del dipendente siano imputabili alla Amm.ne (Cons.Stato 6908/23, Tar Lazio 15781/23 Tar Catania 1269/23)
Proprio le decisioni da ultimo rammentate portano peraltro una ultima notazione: anche con il doppio binario la assoluzione dell’incolpato non comporta comunque la possibilità per l’interessato di ottenere “automaticamente” dalla Amministrazione di appartenenza il rimborso delle spese di difesa in ipotesi non coperte dalla liquidazione operata dalla Corte in sentenza; se infatti il trattamento di tali eventuali importi ulteriori viene ricondotto all’ambito dell’art.18 (e delle consimili fonti sia normative che contrattuali), si porrà comunque non solo il problema della valutazione della congruità della richiesta, ma anche- a monte- quello della sussistenza nell’an dei requisiti di cui all’art.18. Poiché fra tali requisiti rientra la positiva esclusione di responsabilità, sotto qualsiasi aspetto, dell’incolpato, il proscioglimento contabile potrebbe lasciare comunque aperta la valutazione della condotta dell’interessato, dal punto di vista della sussistenza di una colpa ordinaria (quando per la condanna si richiede la colpa grave o il dolo ) o di profili disciplinari di tale comportamento o più in generale di deviazioni rispetto al corretto schema di azione istituzionale.
Ove fosse riscontrata, la sussistenza di profili di colpa o disciplinari pur non avendo avuto conseguenze sul piano del giudizio contabile a quo (ma analoghe considerazioni potrebbero, mutatis mutandis farsi anche per il procedimento penale) potrebbe allora rappresentar, per l’Amm.ne, valida ragione di diniego del rimborso oltre quanto espressamente liquidato dal giudicante nell’ambito della procedura ex art.18.

A cura di Gianni Cortigiani, Avvocato dello Stato

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