L’annosa questione della regolazione dell’IRAP giace irrisolta sui compensi accessori degli avvocati pubblici come conferma, per certi versi, una recente sentenza del Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 2 luglio 2024 n. 5817).
Difatti, nell’accogliere l’appello promosso da un Comune toscano si afferma che, alla luce del quadro regolatorio di riferimento (art. 9 d.l. n. 90 del 2014 ed art. 1, comma 208, l. n. 266 del 2005), risulterebbero possibili sia soluzioni che ritengono che, anche l’IRAP, debba essere inclusa nel fondo destinato a remunerare il trattamento accessorio degli avvocati pubblici (ovvero previamente scomputata dai compensi in concreto da erogare ai diretti interessati) seppure “simmetricamente l’amministrazione potrebbe stabilire di farsi carico di tali oneri se in possesso di adeguate fonti di copertura” (Cons. Stato, sez. VII, 2 luglio 2024 n. 581).
Insomma si tratterebbe di un’opzione applicativa rimessa alla valutazione discrezionale (ovvero alla potestà regolamentare ed ai contratti decentrati) dei singoli enti pubblici sia pure nel rispetto della necessità di garantirne comunque un’adeguata copertura finanziaria e di rispettare il principio del pareggio di bilancio posto dall’art. 81 della Costituzione.
Orbene, se la sentenza non pare troppo persuasiva (ed altrettanto criptica sembra, almeno in parte, la coeva pronunzia della Sezione Quinta del 17 giugno 2024 n. 5380), scontando una qualche ambivalenza di troppo, nondimeno non v’è dubbio che essa confermi l’estrema incertezza e la perdurante ambiguità del tema, alla cui soluzione si è oramai sottratta la magistratura contabile attestata sull’inammissibilità dei relativi quesiti per essere estranei alla “materia della contabilità pubblica” (cfr. Corte dei conti, sez. autonomie, 9 marzo 2023 n. 2 e Corte Conti Lombardia, sez. controllo, 27 marzo 2023 n. 89).
Persino, la giurisprudenza ordinaria sin qui intervenuta oscilla fra posizioni più sostanzialiste, che hanno ritenuto l’IRAP sempre e comunque estranea ai compensi professionali degli avvocati pubblici in quanto “gravante interamente sulla Pubblica Amministrazione datrice di lavoro” (Cass., Sez. Lav. 7 ottobre 2021 n. 27315), e visioni maggiormente aderenti alle preoccupazioni della tenuta e sostenibilità dei conti pubblici sicché “ai fini della quantificazione dei fondi per l’incentivazione e per le avvocature interne, vanno accantonate, a fini di copertura, rendendole indisponibili, le somme che gravano sull’ente per oneri fiscali, nella specie, a titolo di Irap” (cfr. Corte di appello civile Bari, sez. lav., 2 maggio 2023 n. 507).
In questo contesto, se -come chiarito anche di recente dalla Suprema Corte- sembra oramai acquisito che “l’accantonamento ai fini dell’IRAP deve avvenire in base ad un regolamento o alla contrattazione collettiva“, pena altrimenti l’illegittimità di qualsiasi trattenuta stipendiale operata a tale titolo al momento della liquidazione (Cass., Sez. Lav., 21 febbraio 2024 n. 4681), risulta davvero non semplice fornire delle indicazioni operative rispetto alle concrete modalità della definizione della provvista finanziaria con cui i singoli enti devono farvi fronte.
Si intende dire che il tema si innesta e si innerva sulla più complessiva specialità della disciplina del T.U. del lavoro pubblico (il D. Lgs. n. 165 del 2001) che ha sempre posto particolare attenzione all’esigenza di garantire il controllo ed il contenimento della spesa del personale con i suoi corollari applicativi da cui discendono “da un lato, il divieto per il datore di corrispondere trattamenti economici che non trovino fondamento nella contrattazione collettiva o nella legge (ciò, perché entrambe dette fonti presuppongono la previa valutazione della sostenibilità finanziaria), e dall’altro la previsione di nullità delle clausole della contrattazione integrativa non compatibili con i vincoli di bilancio delle amministrazioni” (così ancora Cass., Sez. Lav., 21 febbraio 2024 n. 4681).
Pertanto, in attesa di un qualche (davvero auspicabile) intervento chiarificatore da parte del legislatore, anche su altri profili applicativi della disciplina del 2014 a partire da un disegno dei tetti dei compensi non sempre lineare e sin troppo penalizzante dei compensi degli avvocati pubblici, una possibile soluzione sembra potersi trarre dalla regolazione della libera professione intramuraria dei medici pubblici.
Invero, anche in quel caso, è stato affermato che “l’attività libero professionale in regime di intra moenia non può risolversi in un aggravio di costi per il Servizio Sanitario Nazionale, tenuto, quanto agli aspetti contabili della gestione, al rispetto del principio del necessario pareggio”. Il legislatore obbliga, difatti, “le aziende e le parti collettive a tener conto, dapprima in sede di contrattazione decentrata e, poi, nell’adozione degli atti datoriali che le indicazioni concordate recepiscono, dell’ammontare complessivo dei costi, diretti e indiretti, che gravano sull’Azienda, ossia di tutte le voci di spesa che, a livello contabile, derivano, direttamente o indirettamente, dall’attivita’ intramuraria, fra le quali rientra il maggior importo dell’imposta che l’Azienda e’ tenuta a versare in conseguenza dell’aumento della base imponibile determinata ai sensi della L. n. 446 del 1997, articolo 10 bis. Quell’importo va apprezzato sia nella determinazione delle tariffe, che devono essere satisfattive delle spese e delle quote rispettivamente spettanti alle parti del rapporto, sia nella ripartizione di quanto incassato per effetto dell’attività intramuraria, ripartizione che deve essere effettuata sulla quota che residua dopo avere assicurato la copertura delle spese” (Cass.,Sez. Lav., 21 giugno 2022 n. 20010).
In buona sostanza, sia nel caso dei compensi professionali recuperati dall’esterno che di quelli relativi alle cause vinte con compensazione (secondo il diverso meccanismo previsto dall’art. 9, commi 3 e 6, D. L. n. 90 del 2014), sembrerebbe possibile “accontentare tutti” scaricando anche l’IRAP (oltre agli oneri previdenziali), nel primo caso, sulla parte soccombente e, nel secondo, ridefinendo “lo stanziamento relativo all’anno 2013” (ex art. 9, comma 6, D.L. n. 90 del 2014), tenendo conto anche della maggiorazione conseguente all’IRAP.
In entrambe tali ipotesi altrimenti l’imposta finirebbe per essere inammissibilmente traslata sui singoli avvocato pubblici che, nella sostanza, la pagherebbero “di tasca propria” al momento della corresponsione dei compensi professionali.
A cura di Avv. Mauro Montini