La ripetizione di somme indebite e’ atto dovuto sottratto alla disciplina sull’autotutela amministrativa

Il TAR della Toscana, con sentenza del 25 giugno 2024, ha ritenuto che la disciplina di cui all’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 ed in particolare il termine ivi previsto per l’esercizio del potere di autotutela non si applichi alla ripetizione di un indebito oggettivo soggetto alla sola disciplina dell’art. 2033 c.c. e che deve considerarsi un vero e proprio “atto dovuto, quale esercizio del diritto-dovere dell’Amministrazione di ripetere le somme indebitamente corrisposte ai pubblici dipendenti”. Il tutto in adesione ad un orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo il quale “In altre parole, secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato la ripetizione di indebito oggettivo, si considera un atto dovuto, quale esercizio del diritto-dovere dell’Amministrazione di ripetere le somme indebitamente corrisposte ai pubblici dipendenti dal momento che: a) l’azione di ripetizione di indebito ha come suo fondamento l’inesistenza dell’obbligazione adempiuta da una parte, o perché il vincolo obbligatorio non è mai sorto o perché è venuto meno successivamente, ad esempio a seguito di annullamento (Cons. Stato, sez. IV, 3 novembre 2015, n. 5010); b) il recupero delle somme erogate e non dovute costituisce il risultato di attività amministrativa di verifica e di controllo, priva di valenza provvedimentale; c) in tali ipotesi l’interesse pubblico è in re ipsa e non richiede specifica motivazione in quanto, a prescindere dal tempo trascorso, l’oggetto del recupero produce di per sé un danno all’Amministrazione, consistente nell’esborso di denaro pubblico senza titolo ed un vantaggio ingiustificato per il dipendente (sulla “autoevidenza” delle ragioni che impongono l’esercizio dell’autotutela, a protezione di interessi sensibili dell’Amministrazione: Cons. Stato, ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 8); d) si tratta dunque di un atto dovuto che non lascia all’Amministrazione alcuna discrezionale facoltà di agire e, anzi, configura il mancato recupero delle somme illegittimamente erogate come danno erariale; e) il solo temperamento ammesso è costituito dalla regola per cui le modalità di recupero non devono essere eccessivamente onerose, in relazione alle condizioni di vita del debitore; f) l’affidamento del pubblico dipendente e la stessa buona fede non sono di ostacolo all’esercizio del potere-dovere di recupero, nel senso che l’Amministrazione non è tenuta a fornire un’ulteriore motivazione sull’elemento soggettivo riconducibile all’interessato (Cons. Stato, sez. III, 12 settembre 2013, n. 4519; sez. V, 30 settembre 2013, n. 4849); g) rimane recessivo il richiamo ai principi in materia di autotutela amministrativa sotto il profilo della considerazione del tempo trascorso e dell’affidamento maturato in capo agli interessati (Cons. Stato, sez. III, 10 dicembre 2012, n. 11548; sez. III, 31 maggio 2013, n. 2986; 4 settembre 2013, n. 4429)” (T.A.R. Lazio, sez. I-bis, 22 febbraio 2021, n. 2188).

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