Il principio di equivalenza, introdotto dall’art. 68 del d.lgs. n. 50 del 2016, per consolidata giurisprudenza permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica, ed ammette la comparazione di prodotti aventi specifiche tecniche equivalenti a quelle richieste, ai fini della selezione della migliore offerta.
Esso però non trova applicazione ogni qualvolta ci si trovi nell’ambito di una procedura aggiudicata tramite il criterio del minor prezzo, in quanto manca il presupposto della possibilità, per la stazione appaltante, di valutare discrezionalmente le caratteristiche oggettive e funzionali del prodotto offerto, essendo il sistema prescelto di aggiudicazione già riferito ad una prestazione puntualmente individuata nei suoi elementi caratteristici dalla legge di gara. In tali casi, l’amministrazione individua ab origine una particolare tipologia di prestazione caratterizzata da ben definite caratteristiche e modalità operative che i partecipanti alla gara debbono offrire alle condizioni economiche più favorevoli, senza la possibilità di ammettere un’offerta in tutto o in parte diversa, quand’anche le differenze rispetto alle indicazioni della legge di gara fossero state giustificate come analoghe, se non addirittura “migliorative” rispetto a queste ultime.
Pertanto, come rilevato recentemente dal Consiglio di Stato, in presenza quindi di una prestazione già definita dalla stazione appaltante nei suoi dettagli rispetto alla quale la legge di gara prevede esclusivamente un confronto competitivo basato sull’offerta del prezzo più basso le eventuali difformità sostanziali del “prodotto” offerto rispetto a tali prescrizioni integrano un aliud pro alio, con conseguente esclusione dalla procedura.