Elementi differenziali tra strada a uso pubblico e privato

Il D. Lgs. n. 285/1992 nel definire che con il termine strada si intenda “l’area ad uso pubblico” destinata alla circolazione dei pedoni, veicoli e animali, delinea un netto discrimine rispetto alla viabilità prettamente privata – a uso privato esclusivo – come tale da identificarsi in quell’area posta a servizio dei soli titolari del sedime stradale.
Come ricordato dal TAR di Torino affinché una strada possa ritenersi pubblica è necessario, oltre all’intrinseca idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, che l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone per soddisfare un interesse pubblico e la strada medesima risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale in base ad un atto o fatto (fra cui anche l’usucapione) idoneo a trasferire il dominio, ovvero che su di essa sia stata costituita a favore dell’Ente una servitù di uso pubblico e che essa venga destinata, con una manifestazione di volontà espressa o tacita, all’uso pubblico. Invero, anche a voler prescindere dall’assenza di un atto formale costitutivo del predetto diritto reale, è sufficiente che sussistano gli elementi costitutivi della dicatio ad patriam, istituto che ricorre laddove il proprietario, pur se non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, ponga volontariamente e continuativamente un proprio bene a disposizione della collettività, al fine di soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività “uti cives” – “e non uti singuli” indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto.
Specularmente, non vi è uso pubblico di una strada qualora il passaggio venga esercitato unicamente dai proprietari dei fondi in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi, ovvero da coloro che abbiano occasione di accedervi per esigenze connesse ad una privata utilizzazione, oppure, infine, rispetto a strade destinate al servizio di un determinato edificio o complesso di edifici.

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